01 Mag

Maggio a 0,99!!

Una bella notizia per i lettori di

Meet you on the other side

Per tutto il mese di maggio l’ebook sarà in promozione su Amazon a 0,99 Euro!!

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22 Apr

È salpato…

It’s time for new education – The former rules don’t apply (Dance On, 1988).

prince-logo

Ieri, 21 aprile 2016, è morto Prince. Lo seguivo dall’età di 16 anni, quando cantava Lovesexy come una rivoluzione. Forse era la rivoluzione della nostra generazione, in fondo, liberarci dai preconcetti e aprire la mente. Quali preconcetti puoi avere se il tuo mito è un folletto mezzo nero e mezzo bianco, vestito di lustrini, che predica l’amore? E noi la mente l’abbiamo aperta fino a fare nostre le sue parole dissacranti, il suo modo di fare arte sopra le righe, la potenza con la quale dall’alto del suo metro e cinquantotto scarso riusciva a riempire il palco.

Sarei bugiarda se dicessi che quello che scrivo si ispira completamente a Prince, non è vero e non è giusto abbandonarsi ai sentimentalismi adesso. Però le sue parole, le sue canzoni imparate a memoria, cantate stonando, ripetute come rito scaramantico in treno mentre andavo a fare gli esami all’università hanno finito per permeare il mio modo di pensare, di scrivere e perché no, anche un po’ di vivere.

E siccome io associo a Prince: l’inglese imparato attraverso i suoi testi (ehi, avevo il massimo dei voti, mica scherzavo ;), la mia passione per il colore viola, l’esame di diritto privato al quale mi sono presentata con il walkman a tutto volume ascoltando Forever in my life, la mia prima cotta per un compagno di scuola e pure il primo bacio e altre cosucce che per pudore eviterò di raccontare, stamattina il cielo, uscendo di casa,  mi è sembrato davvero molto più purple del solito.

Questo racconto è Get on the boat, scritto a fine 2012 cantando a squarciagola la sua canzone omonima (Album 3121, 2006). Non è tra i miei racconti migliori, ma c’è lui, c’è la sua colonna sonora, ci sono le sue suggestioni… in una Londra alla fine del mondo mentre le navi ormeggiate sul Tamigi salpano verso la salvezza.

Ok, sei salpato. Fai buon viaggio, allora.

 

Get on the boat

Pro tanto quid retribuamus?

La S.V. è invitata al Get on the boat Christmas Party 24 dicembre 2012

HMS Belfast

More London Riveside

London

La nave salpa alle 11.30 p.m.

È gradito l’abito da sera.

 

L’Afternoon Tea a Knightsbridge è giunto al termine. La jam session raggiunge il culmine.

Adoro servire ai tavoli quando la gente si dirada e rimane soltanto qualche gentiluomo profumato di sigaro o un’elegante signora dalle lunghe mani curate avvezze più al mazzo di carte del bridge che ai lavori di casa. Turisti curiosi ci guardano dal vetro come bambini davanti al negozio di giocattoli.

È stato in un momento come questo, ormai più di tre mesi fa: un bell’uomo attempato, capelli e barba candida, come l’impeccabile completo di panno, mi ha messo tra le mani un biglietto di invito. Senza una parola.

Strano, mi dico. Di solito lo fanno per avere qualcosa in cambio e tornano a riscuotere, molto presto.

Invece questo signore, il cui ritorno, devo ammetterlo, mi avrebbe lusingato, non si è più fatto vedere.

Vado alla festa, per incontrarlo.

Ho avuto tre mesi per pensarci, eppure mi sono decisa solo oggi a cercare l’abito da sera. Sarà il Natale, ma la metro stamattina era sigillata di folla, e l’aria nelle vie dello shopping era elettrica. Ho camminato sconsolata nella bava sferzante di dicembre ormai decisa a rinunciare. Poi eccolo lì, nella vetrina. Di raso rosso, in decolleté, incantevole. Ho speso tutti i miei risparmi per quel vestito e ora sono impaziente di indossarlo.

 

Spengo le luci in sala. Rimangono i dodici alberi di Natale pieni di luccichii.

Mi cambio nel retrocucina ed esco.

Amo Londra e le sue strade rutilanti di addobbi natalizi, silenziose solo per questa notte. Ascolto i miei passi rimbombare sull’asfalto, mentre fermo uno dei rari taxi ancora in servizio. Mostro l’invito. Il taxista alza appena il volume di un cd di carole natalizie e parte senza una parola.

Il lungo-Tamigi è morbido come le curve di una bella donna mentre lasciamo alle nostre spalle il Parlamento, Strand, il Waterloo Bridge e su, su, costeggiando i bordi della City. Più avanti la Torre di Londra, e giù a sud, lungo il Tower Bridge in direzione del nuovo grattacielo svettante sopra Southwark.

Un bel marinaio mi attende sulla banchina e mi accoglie come se mi conoscesse. Mi augura Buon Natale scortandomi sulla passerella. Altri due marinai con le divise ricolme di mostrine fanno la guardia all’ingresso.

«Benvenuta e Buon Natale, madam».

Mi indicano la strada e già un altro ufficiale mi sta porgendo il braccio per condurmi in visita all’incrociatore.

All’interno gli allestimenti del Museo della Guerra sono stati tolti, ovunque ci sono grandi schermi a led che inquadrano i luoghi più importanti della città: Piccadilly Circus, Covent Garden, Buckingham Palace, il 30 di St. Mary Axe. Sul ponte di prua, dinanzi a un lungo buffet, un quartetto di fiati e un pianoforte intonano un pezzo jazz con influenze latine. Capannelli di gente elegante, sparsi qua e là, si intrattengono amabilmente nel gorgoglio dei motori già in movimento.

Alle 11.30 in punto la sirena annuncia la partenza. La passerella viene ritirata e la nave, lentamente, abbandona la banchina. Mi precipito a poppa, dove la musica arriva come un sussurro portato dalla brezza. La nave avanza, lasciando indietro la costruzione sghemba del Municipio, mentre il fianco rosso del London Bridge saluta da lontano.

Ma cosa sono quelle luci?

Una si alza sopra la Hay’s Galleria, una è lontana, sull’altra sponda. E poi bagliori rossi e gialli nel cielo della City. Mentre la nave passa sotto il ponte levatoio del Tower Bridge, realizzo che non ci sono rumori, nessun suono, a parte il russare tenue dei motori di bordo e quella musica per pianoforte e sax, in lontananza.

 

D’un tratto la scia della Belfast si increspa di lato. Nel buio compare inquietante il profilo di una nave antica. Procede veloce e presto entra nel fascio di luce del faro di poppa.

È la Golden Hinde!

Riconosco il muso dorato di cerva che adorna l’albero di bompresso del galeone ormeggiato da anni in una darsena di Southwark.

Ma cosa sono quelle esplosioni di luce gialla e rossa sulle due rive del fiume?

La navigazione si fa spedita: costeggiamo Canary Wharf con i grattacieli di vetro infinitamente alti, e avanti ancora. Il cielo si riempie a tratti di grappoli di scintilli nei toni del rosso, come fuochi d’artificio monocolore. Stiamo doppiando Greewich quando, con la mano alzata, saluto la città ormai distante. Sto per rientrare, ma dietro di noi, accanto alla Golden Hinde, compare un maestoso veliero.

Non ci posso credere!

La Belfast, la Golden Hinde e ora il Cutty Sark! Perché sono salpate assieme per lasciare Londra?

Un brivido mi assale all’ennesimo sfavillio nel cielo.

Nella sala di controllo trovo bella gente, stuzzichini, champagne, la musica più forte. Signore ingioiellate, uomini in tight e ufficiali fanno un cenno di saluto e mi augurano Buon Natale.

Sui grandi schermi le immagini sono ferme, come in attesa dell’autorizzazione a ripartire. Sosto dinanzi a quello che mostra il Big Ben e una sirena annuncia la mezzanotte.

Il vociare si fa più alto, l’orchestra intona un pezzo con brio.

Agli strumenti si è aggiunta una voce, distinguo a malapena le parole: Get on the boat! Sali sulla nave!

Lo schermo ricomincia a funzionare.

Un giovane in divisa mi domanda «È sicura di voler vedere, madam?».

Ma non termina la frase e già il Big Ben si sta afflosciando su se stesso in un nugolo di polvere. Poi è la volta del Parlamento alle sue spalle. Come impazzita mi giro per vedere altri schermi: le piazze stanno andando a fuoco, i monumenti esplodono, i grattacieli si accasciano. In silenzio. Qui c’è solo la musica: Get on the boat!

Sali sulla nave.

Indietreggio, ma i monitor sono ovunque… allora fuggo via, sul ponte di poppa, dove le parole si affievoliscono e la presenza del galeone, e del clipper, dietro la Belfast, un po’ mi rassicura.

Fa freddo. Le mie mani aggrappate alla balaustra sono ghiacciate. Le luci in cielo e i fuochi si sono diradati con la distanza e sono scomparsi del tutto. La nebbia è fitta.

Una bella signora vestita di azzurro viene al parapetto, mi dice che stiamo per entrare in mare aperto.

Una sirena lo annuncia.

La nebbia si squarcia e un’enorme sfera luminosa si allarga in un punto lontano a ovest deformandosi, fino ad appiattirsi e stendersi, come un sudario, sopra la città.

«Che spettacolo!» esclama la sconosciuta mentre la musica continua senza sosta.

Sento un tocco leggero sulla spalla, mi giro.

L’uomo del biglietto a Knightsbridge, in divisa, con le mostrine da Capitano, mi sta sorridendo.

«Buon Natale, signorina. Sarebbe così gentile da concedermi questo ballo?».

 

 

28 Gen

La passione di un’estate

cover-myotos1bMeet you on the other side ha avuto una lunga gestazione, a partire dal lontano 2011. Eli è l’eroina di passaggio dopo che Redlie aveva occupato la mia mente e i miei scritti per molto tempo. Non a caso Deep, il protagonista di Meet you on the other side ha lunghi capelli rossi, quasi fosse un contrapposto maschile di Redlie.

Scartabellando ho trovato questo articolo-confessione, uscito su Tutto Qui & dintorni, credo sul primo numero.

La passione di un’estate

Credo che il mio amore per il surf risalga al giorno in cui vidi Point Break per la prima volta. Me lo ricordo troppo bene, stipate nella Peugeot 205, le mie amiche e io arrivammo al cinema all’ultimo minuto e trovammo posto solo in prima fila. Due ore di film con le onde del mare che sembravano sommergerci a ogni scena, non c’era il dolby surround e la qualità dell’immagine era così così, ma forse a vent’anni non serve tanta tecnologia per scatenare la fantasia.

Poi le cose si sedimentano in qualche angolo del cervello… o del cuore, non so. Sono anti-sportiva per eccellenza, ho 39 anni e nella vita faccio tutt’altro. Non amo la spiaggia in estate, il sole mi infastidisce, poi finisce che mi scotto: sono davvero una frana in queste cose. Tanto tempo fa sapevo “stare galla”, adesso non so, potrei provare, ma se poi vado a fondo?

Allora il surf che c’entra?

Non lo so… posso solo dire come ho passato la mia estate. Parto da un’idea scema: stanca di angeli e vampiri, decido di scrivere un surf fantasy, nuovo sottogenere inventato da me, mi fa quasi sorridere, ma mi diverte. Perché non tentare? Di surf non so nulla, a parte qualche ricordo di quel film, troppo remoto per darmi gli strumenti per affrontare l’impresa. Se voglio scrivere un fantasy, forse dovrei interessarmi dell’aspetto epico, della sfida alla paura, del brivido. Eppure mi piace pensare che troverò altro, vorrei concentrarmi sull’emozione profonda, sul viaggio interiore, sul movente del surfista. Io voglio sapere cosa si prova, non come si fa. Comincio dai Pearl Jam, rispolverando qualche canzone ancora su musicassetta. È un po’ che non li ascolto, ma la voce calda di Eddie Vedder, negli anni ’90 mi piaceva molto. I testi non li ricordo, so che alcuni parlano di mare e della passione per il surf. Mi faccio una chiavetta con tutti gli mp3 che riesco a scaricare e l’ascolto in auto, due ore al giorno, andata e ritorno da Modena, a ripetizione. Faccio sempre così quando ascolto musica, sono una pazza, lo so. Ascolto più volte i pezzi che preferisco: Oceans, Amongst the waves, Just Breathe, Can’t keep, Black, Unthought known, Indifference, Hard to imagine. Inizio ad orecchiarne le parole, scarico i testi. La cosa comincia a prendermi. Mi ricordo di avere letto qualcosa su internet riguardo a Tim Winton mentre cercavo scrittori australiani da proporre al gruppo di lettura. Tim Winton parla di mare e di surf. Torno a fare ricerche su internet: su Google digito “libri sul surf”. Trovo molti siti interessanti, blog che parlano di questo sport così particolare e affascinante, articoli e addirittura veri e propri glossari che ne spiegano il gergo e la tecnica … e autori. Scelgo cinque libri: L’onda perfetta, di Sergio Bambarén, Surf City di Kem Nunn, Respiro di Tim Winton, Pazzo per la tempesta di Norman Ollestad e La pattuglia dell’alba di Don Winslow. Li faccio recapitare da Amazon direttamente in ufficio. Brutta idea. Quando arrivano passo tutta la giornata combattendo contro il desiderio di mandare al diavolo il lavoro e cominciare subito il primo. Inizio la sera stessa, del resto, e leggo i primi quattro libri tutto d’un fiato. Addirittura Pazzo per la tempesta, lo finisco in un sabato notte. Ormai sono dentro, sono una pazza, lo so. Cerco anche i dvd. Al Mediaword compro Un mercoledì da leoni di John Milius. Point Break di Kathryn Bigelow, invece, ormai è introvabile perché sta uscendo in blue ray. Ma stresso così tanto un mio collega che alla fine me lo registra da Sky. Poi trovo un paio di siti internet specializzati: indicano le spiagge migliori, la direzione delle onde, il meteo in tempo reale. Scopro che esiste anche il surf artico, scarico foto di surfisti con la muta integrale e la tavola, che si aggirano in mezzo ai ghiacci come fantasmi…

Intanto progetto di scrivere. Per prima cosa scelgo l’ambientazione. Decido di non espatriare troppo: sto leggendo di Australia e di Stati Uniti, ma non ci sono mai stata, voglio scrivere di qualcosa che è più vicino a me e in qualche modo so di conoscere meglio. Ambiento la mia storia a Porto, dove sono stata l’estate scorsa, e poi a Roma, e poi sull’Argentario, a Biarritz, a Brest e chissà dove ma decido di rimanere in Europa. I siti sul surf mi accompagnano nel mio tour virtuale, mescolo quello che so a quello che sto imparando, per il resto ci metto la mia fantasia. Voglio scrivere una storia di viaggio, di fuga, di passione, di adrenalina, di mare… Delineo i personaggi. Il mio io narrante naturale è femminile: la protagonista non può che essere una ragazza. La chiamo Electra. Elettra è la ninfa amante di Zeus che ottenne l’immortalità nel ricordo in cambio del suo amore. Elektra, invece è in un verso di una vecchia canzone di Prince che parla di un re di una sua suddita che lo amava di un amore incontestabile, Elektra, appunto. Io scelgo una via di mezzo. Electra, la mia protagonista, riconosce un solo re nella sua vita, il mare, e lo ama di un amore totalizzante e disperato che forse la porterà alla morte o a qualcos’altro, chissà.  Mentre tratteggio gli altri personaggi mi rendo conto però che non c’è fantasia che superi l’idea “realista” eppure così inverosimile di poter cavalcare un’onda e quando comincio a scrivere, sulle note di Just Breathe e su quel verso Meet you on the other side che mi suggerisce il titolo a gran voce, so che non ci saranno tritoni né sirene, né mostri marini nel mio nuovo romanzo. L’estate quest’anno è finita ufficialmente venerdì 7 ottobre con un acquazzone e un tale abbassamento della temperatura da farci rabbrividire tutti quanti. In auto sto ancora ascoltando i Pearl Jam a rotazione e uno dei libri, La pattuglia dell’alba di Don Winslow, devo ancora leggerlo. Sto progettando di tornare a Lisbona per rivedere l’Oceano.

La mia Eli è in qualche mare, intanto. Indossa la muta integrale e cavalca le sue onde.

Rimane solo una domanda: ma perché una consulente informatica di quasi 40 anni con l’hobby della scrittura di genere fantasy si lascia prendere così dal surf? Io, la risposta, non ce l’ho.

Se vi capitasse una mattina di svegliarvi “pazzi per la tempesta” come è accaduto a me, queste sono le cose che ho trovato io:

Libri: L’onda perfetta di Sergio Bambarén, Surf City di Kem Nunn, Respiro di Tim Winton, Pazzo per la tempesta di Norman Ollestad.

Film: Point Break di Kathryn Bigelow, Un mercoledì da leoni di John Milius.

I Pearl Jam.

Meet you on the other side.

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